Evo in Russia, ecco cosa rischiamo

La gelida Russia, come è noto, non produce olio. Lì l’olivo non cresce “manco con le bombe”. Stavolta è proprio il caso di dirlo. Con il nuovo millennio l’Italia ha saputo creare uno canale importante all’esportazione di olio di oliva e di Evo nell’ex Unione Sovietica. Siamo il secondo esportatore dopo la Spagna. Un mercato, quello russo, cresciuto con rapidità. Nel 2014 l’olio è scampato alle sanzioni di Putin insieme al vino e altri prodotti. Ma stavolta è diverso. Lo Zar potrebbe bloccare tutto. E allora, Evo in Russia, ecco cosa rischiamo.

Il giro d’affari

L’export italiano dell’olio di oliva in Russia vale 32 milioni di euro. Circa la metà dell’olio che mandiamo è extravergine di oliva, per un valore di circa 15 milioni di euro (dati Coldiretti). Non sono cifre astronomiche. Ma solo rispetto allo scorso anno l’incremento è stato del 14%. Segno che i prodotti italiani come olio, pasta e vino, soprattutto il vino, continuano a far gola ai russi.

Evo in Russia, ecco cosa rischiamo

L’olio, e in particolare L’Evo, per loro è “roba da ricchi”. Il popolo russo cucina con l’olio di semi. Alla maggior parte dei russi non importerà non avere più l’extravergine. All’èlite russa probabilmente invece importerà. Ma i “buongustai” sono talmente pochi che Putin non ci penserà due volte, ora, se dovesse servire a farci un dispetto, a “bannarlo” da ristoranti e supermercati “in”. Ci sono alcune aziende italiane, però, che più di altre hanno puntato su quel mercato. Proprio perché in crescita. Per loro l’alzata di scudi potrebbe fare la differenza. A queste aziende va la nostra preventiva vicinanza. E agli ucraini, naturalmente, che combattono l’invasore.

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